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Il senso della stampa italiana per l’eroismo

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Nel nostro Paese il dibattito mediatico ricorda spesso le caricature: si parte sì dall’immagine reale, ma la abbandoniamo subito per costruire un castello di opinionette fondato su frammenti imprecisi di notizie. Accade così che si generano dibattiti, sui media o sui social network che poi è lo stesso perché si alimentano a vicenda, basati su opinioni e vissuti personali che nel crescere perdono le già deboli tracce di equilibrio e buonsenso.

Talvolta però si travalica l’inutile e si arriva all’ipocrisia: sta succedendo in questo ore dopo la notizia del rapimento di una settimana fa delle due ragazze lombarde protagoniste di un’iniziativa umanitaria indipendente.  Greta e Vanessa si trovavano nella periferia di Aleppo una delle zone più pericolose e disperate del Pianeta.

Non entriamo nel merito del fatto, limitiamoci a ricordare che tanto per cambiare sulle vicende internazionali umanitarie c’è un solo giornale, si chiama Avvenire, che ancora riesce a fare informazione di qualità. Entriamo invece nel merito del dibattito.

Perché alla lista degli argomenti per cui il nostro Paese non riesce quasi mai a smarcarsi dal ridicolo c’è anche quello strano senso della stampa -e degli opinion leader che vi gravitano attorno che sono l’eco del senso comune- per l’eroismo.

Si diventa eroi internazionali in Italia, con annesse medaglie, quando si fanno cose rischiose, ma solo di un certo tipo: quando si muore lavorando per compagnie militari private in zone di guerra; quando si è accusati di aver ammazzato pescatori scambiati per pirati; quando si lavoro per grandi aziende che portano gli interessi, e i profitti, dell’Italia i giro per il mondo; quando si praticano sport pericolosi che portano alla morte: lì addirittura si entra nella leggenda.

Ora nessuno si merita destini pericolosi, nemmeno il più sconsiderato degli sconsiderati, e inoltre ognuno ha tutto il diritto di avere stampato addosso, da vivo o da morto, il grado di eroismo che gli viene dato dalle maggioranze o dalle minoranze.

Ma tutti dovrebbero meritarsi un minimo di buonsenso nel parlare di loro. Pare però che la linea di confine fra “è un eroe” e “se l’è cercata” sia molto fragile e tenda a seguire un’altra linea che non esce mai di moda in Italia: quella del conformismo e della sottomissione mentale alle forme di potere costituito.

Un cooperante notoriamente non opera per poteri forti, ma per organizzazioni umanitarie. Queste avranno tutti i loro difetti, ma certamente portano in giro speranza e non armi. Accade che quando finisce in situazioni di pericolo, gli viene cucito addosso invece che una medaglia al valor civile una patacca di senso di colpa per essersela andata a cercare.

E allora da comodi e conformisti scranni mediatici si pontificano ipocrisie e banalità, tanto per non perdere quell’antico vizio della stampa di voler apparire mite coi forti e feroce coi deboli. Così Greta e Vanessa in Siria se la sono andata a cercare. E magari, perché no, si meritano anche quello che stanno subendo. Perché è bene ricordarlo a chi è in cerca di eroismo: si diventa eroi quando si è vicini al potere, non quando si è accanto alle vittime.

p.s.: tutto questo quando da più di due anni non si hanno notizie di quello che era l’ultimo cooperante italiano rapito nel mondo, Giovanni Lo Porto. Dimenticato in Pakistan.

 

 


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